Così disse il famoso scrittore ed aforista Oscar Wilde e, per quanto ci sia difficile ammetterlo, c’è un fondo di verità a questa affermazione, soprattutto ai giorni nostri.
La nostra mente si è evoluta per formulare velocemente giudizi in modo da avvantaggiarci rispetto ad altre specie. Era infatti indispensabile per i primi esseri umani essere in grado di decidere in fretta se un animale o un’altra persona costituivano un pericolo. Tuttavia, ad un certo punto la complessità del mondo che ci circonda ha superato la potenza di calcolo del nostro cervello ed i giudizi istantanei da esso elaborati, le cosiddette “prime impressioni”, hanno iniziato ad essere sempre più basati su pochi dati e troppo affrettati.
La cosa sorprendente è che questo non ha portato ad un allungamento dei processi di giudizio ma, al contrario, con l’avvento dei social media il tempo che noi impieghiamo per farci una prima impressione di qualcosa o di qualcuno è addirittura diminuito.
Non solo il tempo che ci mettiamo a formulare un giudizio si è accorciato, ma il tempo che impieghiamo per modificare quel giudizio rimane estremamente lungo. Questo è per via di un processo per categorizzare ed organizzare i concetti chiamato primacy: l’ordine temporale con cui si ricevono le informazioni influenza la percezione e la valutazione delle successive. In questo modo non solo diventa molto difficile cambiare una propria prima impressione, ma si formano anche i successivi unconscious biases, i pregiudizi inconsci, che tenderanno a farti valutare le informazioni date in un certo modo, un tipico esempio è che gli individui vestiti in giacca e cravatta sono persone perbene.
Oltre ad evitare di incappare in pregiudizi negativi quando si vuole fare una buona prima impressione bisogna trasmettere il proprio messaggio in fretta poiché lo span of attention, ossia il tempo che le persone sono inconsciamente disposte a investire su qualcosa prima di perdere interesse, è poco e con la moltiplicazione delle fonti di intrattenimento lo sta riducendo ulteriormente. Ciò che è più sorprendente è che la relazione tra la riduzione dello span of attention e la moltitudine di messaggi ricevuti (si pensi ai social media) è un circolo vizioso: lo span of attention diminuisce per via della frequenza dei messaggi. Quindi, i social media espongono messaggi promozionali sempre più corti e sensazionalistici per attirare la nostra attenzione che cala ulteriormente per via della loro quantità, ed il ciclo si ripete.
Ma cosa significa tutto questo per un’impresa?
Significa che, nel caso essa voglia raggiungere un target più ampio attraverso la presenza sulle varie piattaforme mediatiche, questa dovrebbe riuscire a creare una pubblicità accattivante in un tempo sempre minore, o per lo meno catturare l’attenzione dell’utente prima che questo passi ad un altro post. Come è possibile intendere, questo non è un compito facile, soprattutto se ci aggiungiamo anche il fatto che dopo aver catturato l’attenzione dello spettatore deve riuscire ad evitare i pregiudizi inconsci negativi. Per questo è fiorito il business del Public Relations (PR) management, ossia delle persone il cui lavoro è aiutare le imprese a gestire la propria immagine pubblica sotto ogni aspetto, primo fra tutti quello tecnologico, e per lo stesso motivo non potrà che crescere ulteriormente con l’aumentare dell’influenza dei social media sulle vite di ognuno di noi.
In conclusione, se un’azienda vuole rimanere al passo coi tempi debba trovare un modo per fare una buona, e veloce, prima impressione sui propri interlocutori e clienti tramite i social media per le ragioni sopracitate e probabilmente il metodo migliore per farlo è cercando aiuto da esperti del settore.
Cristina B.
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